Strumenti D.I.Y. e low-cost.

Strumenti musicali D.I.Y.

ovvero

Come spendere molto meno di quello che vorrebbero le multinazionali della musica e avere comunque un suono di tutto rispetto.

Rubrica che ho sempre sognato di fare mettendo nero su bianco come stanno davvero le cose.
Da dove comincio? Bene, comincio da zero.
Sicuramente fra voi lettori ci sarà il musicista smaliziato, quello che “vorrebbe ma…”, quello sfigato che magari riesco a portare sulla giusta via, quello che ascolta e produce rumore tutto il giorno, quello a cui non è mai fregato un cazzo del suono e quello che non suona e girerà pagina in questo preciso istante.
C’è un dato di fatto: per quanto di massa il settore degli strumenti musicali è pur sempre una nicchia. Non è il business dei televisori o dei telefonini e i numeri sono sempre relativamente bassi. Questo porta inevitabilmente i costi verso l’alto e inevitabilmente taglia fuori molta gente dal sacrosanto diritto di fare musica e/o rumore soltanto per un fattore economico.
Certo è che i materiali impiegati sono relativamente costosi (legni, particolari in acciaio, componenti elettronici, ecc…) e la realizzazione è ancora in larga parte manuale.
Ma se per la manodopera ci pensano quasi sempre i nostri amici Cinesi, trattati ad un pugno di riso al giorno, anzi no, ad un pugno e basta, il resto si deve comunque pagare.
I boss delle multinazionali quindi per massimizzare i profitti negli anni hanno pensato bene di investire nella ricerca del risparmio dei materiali.
In pratica: non solo gli strumenti li faccio assemblare a costi prossimi allo zero ma risparmio anche con dei materiali infimi che seguono la logica del deterioramento temporale dei telefonini.
In passato, compreso questo fatto, mi sono ripromesso di lavorare per cercare il modo di non farmelo mettere quotidianamente in quel posto e avere sempre il suono che cercavo.

CAP1.0: IL SUONO CHE CERCAVO

Il suono che cercavo era quello dei dischi in vinile degli anni’70 che intorno ai miei vent’anni ho consumato sotto la puntina del mio giradischi.
Gli Who del post Woodstock, Hendrix, i Pink Floyd di Ummagumma, avevano tutti un grande suono, dinamico, grosso, spaventosamente rock.
La prima cosa che facevo in quell’era pre-internet era guardare più foto possibili cercando di capire cosa ci fosse in studio o sul palco e cercare in qualche modo di risalire a cosa faceva quel suono.
La prima regola che ho capito era che quel suono era fondamentalmente dato dal volume. Più alto è il volume più è grande il suono. Pochi cazzi. Il compianto Ron Asheton ben sapeva questa cosa e lo sciopero in studio prima di registrare “The Stooges” perché non potevano tenere gli amplificatori a 10 di volume dovrebbe dirvi qualche cosa.
Quindi il volume come prima cosa. Se volete fare rocknroll di ogni ordine e grado il volume deve essere alto, il più alto possibile. Se volete suonare a volumi ridicoli andate a zappare che è meglio.

1.1 D.I.Y. AMPLI: “ci piace scopare e suonare i nostri amplificatori tutto il giorno” – Sonic Youth

Primo step del D.I.Y. sul suono è la scelta dell’amplificazione. Non importa se suonate basso o chitarra, poco cambia. Cominciate a ragionare senza pre-concetti. Se vi piace un ampli da chitarra per suonarci il basso va più che bene (ma usate una cassa da basso altrimenti sfondate i coni) e viceversa godete anche di più. Se vi piace il transistor invece che la valvola stesso discorso.
Già componendo e scomponendo avete fatto un grande atto DIY senza quasi accorgervene.
Fondamentale sarebbe poter provare e riprovare molta roba. Purtroppo non sempre è possibile.
Il mio consiglio è di cominciare con amplificatori usati, con fasce di prezzo non superiori ai 500 euro.
Un ampli di questa fascia generalmente è molto vincolato e di difficile modifica perché tutti o gran parte dei componenti sono saldati su circuiti stampati. Ma non è detta l’ultima. Se si tratta di amplificatori a valvole possiamo comunque sperimentare con lo stadio di pre-amplificazione.
Ci sono diversi tipi di valvole preamplificatrici con diversi livelli di “guadagno” e semplicemente sostituendole possiamo sperimentare tantissimi suoni. Il finale invece, se è a valvole, va fatto regolare da un tecnico (regolazione del bias) altrimenti può letteralmente esplodervi in faccia.
Dimenticavo di dirvi che dentro gli ampli a valvole girano correnti prossime ai 500 volt ed è estremamente pericoloso metterci le mani se non siete esperti. Evitate quindi di fare minchiate come pensare senza motivo di essere esperti perché potreste rimanerci secchi.
Parlando di combo per chitarra sui 500 euro ecco la mia lista nera e quella bianca.

Lista nera: Questi amplificatori è meglio evitarli. Lasciateli in negozio o a chi ve li vende.

Peavey Valveking, Line6 (tutti), Vox nightrain, Marshall AVT, Fender serie DSP, Behringer (tutti), Bugera (pure peggio), Yamaha (quasi tutti, esclusi i “comboni” anni’80 a transistor che sono molto fichi), Fender serie “manopole rosse”, H&K (quasi tutti).

Lista bianca: Buone soluzioni già di base con cui si può anche sperimentare in modifiche

Marshall serie JTM (30 e 60 in special modo), Peavey Classic 30, Marshall Valvestate anni’90 (nessuna modifica ma suonano molto bene per quello che costano), Fender FM212 (transistor ma fico), Laney (generalmente si ma hanno fatto anche cagate pazzesche).

Se poi siete fortunati a trovare roba vintage italiana a prezzi stracciati che funziona ancora discretamente vi consiglio i vecchi Binson, FBT, Davoli, Ranger, Lombardi, Steelphon, Montarbo.
Generalmente però su questi ampli va data sempre una controllata perché gli anni passano e non è detto che sia tutto in ordine.

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